El Pueblo Unido in Cile Pt. 2

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Questa è la vicenda di un Paese passato alla storia come palcoscenico mondiale di una delle dittature più criminali del Novecento. Ma adesso un po’ di aria nuova entra da una finestra chiusa per troppo tempo.

(Qui c’è la parte 1)

Dal Golpe alla caduta di Pinochet passando per decenni d’orrore

Quando i militari uccidono Allende e i suoi, si installano nelle stanze presidenziali. Contrariamente però a quanto avevano sperato i rappresentanti di destra, i soldati non consegnano il potere alla classe politica reazionaria, ma lo pongono nelle mani del generale Augusto Pinochet. Nato nel 1915 a Valparaiso, Pinochet passerà alla storia come uno dei dittatori più odiosi del ‘900, e il Cile sarà il suo teatro. I suoi stessi tirapiedi ne hanno riconosciuto il profilo violento e repressivo. Il tipo umano come Pinochet non passerebbe un blando esame psichiatrico: uno psicopatico, per farla breve. Ben prima di insediarsi al potere, Pinochet si era reso famoso per i metodi barbari, e per aver soffocato gli scioperi dei lavoratori, più volte, nel sangue. Ben prima di essere un dittatore, Pinochet era un capo militare che aveva represso proteste e manifestazioni con ogni mezzo a sua disposizione. E quando diciamo con ogni mezzo, intendiamo proprio con i carri armati contro dei civili a piedi.

Ma il tema è politico, non psicologico. Certo, è molto facile guardare alla storia come un grande tavolo di gioco dove è ben netta la separazione fra buoni e cattivi. Il mio intento qui non è raccontarvi come e quanto fossero mostruose le politiche di Pinochet, tantomeno disegnarlo come uno spietato sanguinario che siede al trono appoggiando i piedi su una montagna di cadaveri. Con infinita tristezza, però, mi trovo costretti a dirvi che quest’immagine descrive in modo piuttosto veritiero il periodo di dittatura in Cile.

Dal 1973 al 1990 sono stati migliaia i sequestri, gli arresti, le torture e (fortunatamente) gli esilii di chi è riuscito a scappare. Ciò che è accaduto in quegli anni è stato oscuro, atroce. Sapete cos’è l’Operazione Condor? Fino a poco tempo fa non lo sapevo nemmeno io, e forse vivevo più serena. Si tratta di un immenso piano d’azione a regia americana, come le carte oggi desecretate hanno confermato, per uccidere dissidenti e oppositori alla dittatura. Augusto Pinochet è stato uno degli orgogliosi esecutori: era suo preciso compito – e, verosimilmente, piacere – scegliere da sé i profili che avrebbero avuto il ruolo di “torturatori e stupratori” all’interno dell’operazione. Ma questa, pur avendo un ruolo molto inerente alla storia che stiamo raccontando, l’ho narrata in un altro articolo. Intanto ve ne ho dato un assaggio.

Ad ogni modo, migliaia di giovani erano riusciti a fuggire, approdando con navi container o peripezie via Cuba o altri mezzi di fortuna in Europa e in particolar modo in Italia. Non solo Milano e Roma, ma anche Napoli, Perugia, Firenze, Padova, Parma. Gli Inti Illimani, band musicale specializzata in musica andina ma anche molto politicizzata, hanno imperversato per anni con Venceremos (inno del Governo Allende) e con El pueblo Unido. Va qui ricordata una cosa: l’Italia di allora era una realtà molto accesa – non il mortorio di oggi – e comunque terra di asilo politico. Non c’erano solo i cileni. Erano qui anche molti greci, per sfuggire alla Dittatura dei Colonnelli, gli studenti iraniani nei guai con lo Scià di Persia, e poi baschi, spagnoli e portoghesi (nei loro Paesi c’era ancora la dittatura). Un bel melting pot, diciamolo. Qui devo fare anche una piccola digressione: la vicenda cilena resterà importante nel vissuto italiano dell’epoca perché l’allora segretario del PCI, Enrico Berlinguer, prendendo ad esempio la cosiddetta “sovranità limitata” dei cileni e di chiunque non godesse dei favori americani, aveva lanciato la strategia del “compromesso storico”, cioè della convergenza tra sinistre e centro.

La difficile transizione democratica in Cile

Ma torniamo a Santiago del Cile. La lentissima caduta di Pinochet inizia nel 1988, 15 anni dopo il golpe, quando il Plebiscito cileno porta alle prime elezioni democratiche. Lui deve mollare la Presidenza all’inizio del 1990, ma rimane comandante supremo delle forze armate. Con questa premessa, non è difficile immaginare come l’andazzo fosse poi proseguito: con Pinochet a capo dei militari e delle forze di polizia, i delitti del passato vengono occultati, mentre continuano le politiche repressive. Pinochet, arrivato alla pensione e ottenuta la carica di Senatore a vita, dunque l’immunità, ha goduto per lungo tempo di una sostanziale intoccabilità, ferocemente difesa dai suoi fedelissimi. Che nessuno in Cile s’azzardasse mai ad arringare una folla nei confronti di un ex dittatore ormai vecchio e malato.

Facciamo qualche esempio per spiegare cosa significa ‘impunità‘. Quando Pinochet si è recato a Londra per un’operazione chirurgica, Amnesty International ha chiesto subito il suo arresto per violazione dei diritti umani. Ad Amnesty si sono aggiunti alcuni giudici spagnoli e persino la Camera dei Lords inglese, per il principio della difesa universale dei Diritti dell’Uomo. Ma non è successo niente. Due anni e diversi tribunali dopo, nel 2000, in Cile il giudice Juan Guzmàn persevera nell’inchiesta contro di lui e lo richiama in tribunale con cadenza settimanale. Ma Pinochet trova sempre una scappatoia e non si presenta mai, rimane barricato nella sua stanza mentre il Paese che aveva dominato col pugno di ferro per oltre vent’anni lancia frutta marcia contro le sue finestre. A 91 anni, in seguito a un attacco di cuore, Pinochet “muore nel suo letto” (grande cruccio per migliaia di persone, che avrebbero voluto vederlo giustiziato), circondato da alte cariche militari e clericali. Unica consolazione per le vittime del golpe: non è stato possibile organizzare alcun funerale di Stato, ci sarebbero state troppe proteste in Cile e nel mondo.

Il Cile del XXI Secolo non è così diverso da quello del XVI

Ma finora, la vicenda cilena sembra una tragedia shakespeariana. Il Grande Buono, Allende. Il Grande Cattivo, Pinochet. In effetti, è proprio così. Se fosse una semplice questione di personalità, null’altro da aggiungere.

In realtà, la storia di un popolo non è mai così semplice né così riassumibile in un discorso di profili umani emblematici. Un’altra cosa va detta, prima di iniziare questa parte di articolo. È una cosa piuttosto antipatica, e fa leva su alcune crude verità, ma qualcuno deve pur dirlo. All’interno del popolo cileno, le disuguaglianze sono davvero nette e visibili. Queste delineate classi sociali, chiamiamole pure per quel che sono, “caste”, sono il prodotto dell’epoca coloniale. Parliamo di cinquecento anni fa, e facciamo riferimento all’assegnazione delle terre da parte dei dominatori bianchi che, forti di un potere di prevaricazione storico, favoriscono i “discendenti dei bianchi”, segnando così un confine chiaro fra i cileni nativi e la nascente classe media di derivazione europea. Un bel documento redatto dal PNUD – il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo del Cile – sostiene che una struttura sociale così ben organizzata dove le persone fisiche avevano etichette precise che ne distinguevano l’origine e l’appartenenza sociale, avrebbe sopravvissuto nei secoli e sarebbe dunque arrivata ai giorni nostri.

Mai sentito parlare dei “peones”? Erano i tutto-fare della terra, solo in epoca recente modernizzati in campesinos, controllati con il binocolo dai padroni delle grandi aziende agricole. Le disuguaglianze in questo sistema non sto nemmeno a spiegarle, perché le avete capite benissimo. Nella moderna economia di Stato, le cose non si sono modificate granché: la storia di questo Paese ha sedimentato le proprie radici in una distribuzione delle risorse, in un sistema normativo e in quadro istituzionale che dà forma a gradini molto diseguali di reddito e di rappresentazione politica. Nessuna mobilità sociale. Diciamolo in parole spicce; in Cile, da cinque secoli, i figli dei poveri fanno i poveri, i figli dei ricchi fanno i ricchi.

(Qui c’è la parte 3)