El Pueblo Unido in Cile Pt.3

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Questa è la vicenda di un Paese passato alla storia come palcoscenico mondiale di una delle dittature più criminali del Novecento. Ma adesso un po’ di aria nuova entra da una finestra chiusa per troppo tempo.

Il Cile protesta, il vento cambia

Nell’autunno-inverno del 2019 un fatto piuttosto insignificante e ultra-locale accende la miccia dell’insurrezione. Scoppiano violente rivolte. Come tutte le cose grandi, la vicenda nasce da un episodio piccolo: i biglietti dei mezzi pubblici vengono alzati da 800 a 830 pesos (da 0,99cent a 1,03euro circa). Iniziano dunque gli ingressi di massa nelle stazioni della metropolitana, i giovani scavalcano i tornelli, gli studenti si spingono e fanno a gara a chi trova il modo più originale di “saltare oltre il recinto”, cioè di manomettere gli ingressi e le uscite dai mezzi pubblici affinché chiunque possa viaggiare gratuitamente. Passano pochi giorni prima che le proteste diventino veri e propri cortei politicizzati, guidati da una nuova generazione di cileni che ha meno di trent’anni e non ha mai conosciuto la dittatura di Pinochet. Migliaia di giovani disillusi, capaci e aperti alla possibilità di esprimere le proprie sofferenze. Non hanno davvero niente da perdere.

È il 18 ottobre quando gli ingressi massivi nella metropolitana vengono accompagnati dai primi incendi. Si finisce a scontri con la polizia e negozi saccheggiati. Il popolo cileno aveva già manifestato con rabbia, prima nel 2006 quando Pinochet era morto pressoché impunito delle atrocità che aveva commesso, e poi nel 2011, in perfetta assonanza con l’americano Occupy Wall Street, quando studenti e professori si sono uniti in sfilate e cortei pacifici contro alcune politiche promosse dall’allora governo cileno guidato dal conservatore Sebastián Piñera. Anche in quell’occasione c’erano stati scontri, incendi, gas e lacrimogeni, ma nel 2019 è stato tutto diverso. in Cile si è consumata una vera e propria carneficina di manifestanti. I poliziotti vengono affiancati dai militari, gli studenti sono costretti a proteggersi dai fucili caricati a pallini, i carri armati sfilano per le città principali e c’è il coprifuoco in tutto il Paese.

Facciamo un po’ di cronaca recente. Piñera, tornato presidente dal 2018, veniva accusato di aver deluso le aspettative riformiste del sistema didattico, fiscale e sanitario, nonché di aver completamente tralasciato la redistribuzione della ricchezza. Questo, affiancato alla forte disuguaglianza perpetrata nei secoli, ha scatenato la rabbia del popolo cileno, il cui sentimento di rivalsa è stato fortemente minacciato da alcune frasi di Piñera che si avvicinavano pericolosamente ai toni di Pinochet. «Siamo in guerra contro un nemico potente – diceva Piñera alle telecamere -, un nemico che è disposto a usare la violenza senza alcun limite». Persino il generale Javier Iturriaga, responsabile di tutte le operazioni militari anti-manifestazioni, ha preso immediatamente le distanze da Piñera, dicendo che lui e l’esercito «non erano in guerra proprio con nessuno». Iturriaga aveva effettivamente fatto i conti con un Capo di Stato peggiore di Piñera, e sapeva benissimo che nelle minacce del Presidente c’era ben poca credibilità rispetto all’orrore che certi sottoposti di Pinochet avevano visto e compiuto.

Si arriva a un governo di sinistra, dopo cinquant’anni

Arriviamo all’oggi. È passato del tempo, siamo alla fine del 2021. Gabriel Boric, leader della coalizione di sinistra Pacto Apruebo Dignidad, ha vinto il ballottaggio delle elezioni presidenziali. Sono le elezioni più libere e polarizzate dal 1970, quelle di Allende. Certo, Boric ha vinto in modo molto netto. Lo sfidante, José Kast, non solo è un vecchio repubblicano, ma è anche un sostenitore di Pinochet, piuttosto famoso per le sue posizioni omofobe e fortemente convinto che l’immigrazione, qualunque immigrazione, vada fermata. Boric è giovane, ex leader studentesco, forte sostenitore dei diritti fondamentali e assolutamente propenso a ridurre qualunque discriminazione. Anche qui, la storia non si disegna come uno schema buoni e cattivi, giusti e sbagliati. Però il Cile, ancora una volta, ci si avvicina molto. Insomma, sembra che il Paese voglia cambiare davvero. La svolta democratica degli ultimi mesi ha fatto sì che la speranza vincesse sulla paura (cit. Boric su Twitter), e forse ha segnato un nuovo capitolo per la storia cilena. Sarà così? Molti sono pronti a scommetterci.

Lo so, a questo punto ce l’avete sulla punta della lingua. E quella foto, quella del primo articolo? Allende che tiene il pupo tra le braccia? Quello non è un pupo. È una pupa. Adesso ha più di cinquant’anni, si chiama Maya Fernández Allende ed è la nuova ministra della Difesa del Governo Boric. Comanda i generali e l’esercito, il ministro della Difesa, capito? Una bella nemesi storica.

E a proposito di vendette della storia, se qualcuno vi dice: mah, sì, d’accordo, però tutte queste son vicende vecchie. Verissimo. È vero che fanno venire i lucciconi ai boomer. Ma siamo sicuri che a noi non dicano niente? Provate a guardarli e sentirli com’erano qualche mese fa, gli Inti Illimani e i cileni, a festeggiare la vittoria Boric nella piazza di Santiago del Cile. Poi mi dite.

Perchè ci riguarda?

Nel caso a qualcuno venisse in mente di dire: e a noi…? Ce ne frega, ce ne frega. Ci riguarda. È la storia di un popolo che abbiamo accolto, e che sembra aver trovato un equilibrio dopo decenni di incertezza. Equilibrio che ha raccolto speranze e sogni dei giovani con e nonostante i social media. Possiamo anche voltarci da un’altra parte, e continuare a pensare: ma tanto il Cile non è importante. Come però cantava De André: «Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti».

(Qui c’è la parte 1 e la parte 2)