L’Iraq di Saddam, come non ve l’hanno mai spiegato
(qui c’è la parte 1)
Gli antefatti della guerra che nessuno ricorda e una celebre frase di Marx
Quando vi diranno che la Guerra del Golfo è stata portata avanti contro un dittatore sanguinario e obnubilato dal potere, fate attenzione.
O meglio: fate un po’ di attenzione, concentratevi solo per quel che riguarda la critica (giustificatissima) al profilo criminale di Saddam Hussein.
Ma nessuno fa una guerra per buttar giù un dittatore, soprattutto se fino ad allora era nella banda degli amici. Quando il 2 agosto 1990 i carri armati iracheni sono entrati nei confini del Kuwait e i paracadutisti atterravano sui grattacieli della capitale, i motivi iracheni per l’invasione erano tutt’altro che culturali, religiosi o politici. Mettiamola così: non è vero che Saddam pensava alla passata grandezza di giardini pensili di Babilonia (una delle Sette Meraviglie del mondo antico). No. Ha carattere militare e una forte valenza economica. Provo a spiegarla meglio.
La guerra di Saddam contro l’Iran, sua disfatta, l’invasione del Kuwait
Dieci anni prima, nel 1980, Saddam ha iniziato la rovinosa guerra contro l’Iran, con due scopi. Uno lo abbiamo già accennato: destabilizzare per conto terzi il regime islamico di Khomeini. Il secondo è invece un motivo propriamente interno: allargare i propri confini (se guardate bene, vi accorgerete che tutt’ora l’Iran è grande il doppio dell’Iraq) per ottenere più potere nell’estrazione del petrolio. Avevate qualche dubbio? Estrarre petrolio, da sempre, significa per i Paesi mediorientali esercitare una leva economica potente sui mercati mondiali. È una manovra forte, come quando decidono di ridurre le estrazioni facendo schizzare in alto il prezzo del greggio. Insomma, significa contare di più.
All’alba del 1988, Saddam Hussein si ritrova in una situazione non invidiabile: ha perso la guerra in Iran e ha uno spaventoso debito con il Kuwait ed Emirati Arabi per l’acquisto delle armi usate contro Teheran. Colpo di grazia: alcuni produttori di petrolio (tra cui i suoi creditori) contravvengono alle direttive dell’OPEC, ovvero l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio. Aumentano le quote di produzione e fanno crollare il prezzo dell’oro nero da un giorno con l’altro. Non solo Hussein ha perso la guerra, ma il petrolio che ha non vale niente. Di conseguenza, risponde nell’unico modo in cui un dittatore può rispondere. Con un ultimatum. Un ultimatum che prevede la totale cancellazione del debito di guerra, l’assegnazione all’Iraq di alcuni giacimenti petroliferi sul confine e la cessione di certe zone-grigie non ben definite ma proficue e vantaggiose. La risposta del Kuwait è picche. Giovedì 2 agosto 1990 l’Iraq invade militarmente il Kuwait.
E la frase di Marx? È meno famosa di molte altre, ma cade a fagiolo come si dice. Il vecchio Karl ha scritto: «Se vuoi comprendere una situazione reale, lascia i cieli delle politica e scendi nell’inferno della produzione».
La reazione immediata, ma inutile, delle Nazioni Unite
Celeri ma inconsistenti. D’altronde anche oggi le Nazioni Unite hanno scarso peso, quando possono – cioè quando chi è nel Consiglio di Sicurezza non mette il veto – alzano il dito e condannano le azioni sbagliate senza realmente tamponare le ferite, o cercare una soluzione comune. In questo caso, forse, la soluzione comune non c’era affatto. Saddam non avrebbe rinunciato a una guerra, c’era in gioco la tenuta del suo potere dopo la rovinosa caduta in Iran. L’imposizione dell’ONU per il ritiro delle truppe irachene dal Kuwait è stata una richiesta mai ascoltata, così come quella successiva del 29 Novembre.
I più preoccupati fra tutti erano gli Stati Uniti. Perché? Perché sono alleati dell’Arabia Saudita, pericolosamente vicina ai territori di guerra e anche la maggiore esportatrice di petrolio per l’America. Ancora una volta, avevate qualche dubbio? La prevenzione e salvaguardia dell’Arabia Saudita in quanto giacimento petrolifero sono state il cavallo di battaglia della presidenza di George H.W. Bush prima che le Torri Gemelle dirottassero la sua attenzione verso l’Afghanistan. Francia, Germania, Italia e altri 26 paesi, tutti contro l’Iraq. Dall’altra parte, un nome famoso per altre vicende, simili ma non troppo e diverse ma non del tutto. Mu’ammar Gheddafi si schiera con Saddam Hussein ed entrambi entrano per sempre nel mirino degli Stati Uniti (infatti anche Gheddafi finirà malissimo, ma questo sarà materia di un altro articolo).
(Qui c’è la parte 3)