La Prima Guerra del Golfo spiegata ai Millennials pt.3

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L’Iraq di Saddam, come non ve l’hanno mai spiegato

(Qui la parte 1 e la parte 2)

Come si svolge questa guerra, e perché le operazioni militari sono state così enfatizzate

Con la Prima Guerra all’Iraq il mondo conosce due precisi momenti di tensione acuta. Il primo riguarda la cosiddetta “legalità internazionale”, che Saddam ha violato con un’invasione militare. Giuristi di tutto il mondo forniscono supporto all’idea della “guerra giusta”, un concetto che tornerà in seguito anche per altre regioni del mondo. Suona più o meno così: è giusto fare la guerra a chi sta facendo la guerra.

Ben più consistente è il secondo picco di tensione: quella sulle operazioni militari. C’è un motivo tipicamente ideologico: Occidente versus Oriente. Noi siamo qui. Loro sono lì. In mezzo c’è il petrolio. Il resto è cronaca.

Ma il vero motivo che dà un primato a questa guerra è un altro: è la prima guerra in diretta della storia. I boomer e gli ex ragazzi della Generazione X raccontano che stavano su di notte per vedere i traccianti sui cieli di Bagdad. È stata una grandiosa play station mondiale. Chi dice che i videogames simulano le guerre vere è rimasto indietro. Con Desert Storm la guerra vera ha copiato i videogames, e non ha mai più smesso.

Una piccola osservazione etica

Se siete arrivati fin qui, vuol dire che avete pazienza. Ne approfitto ancora un po’, con una considerazione etica, perché più acquisisco informazioni su questa guerra e più mi sta antipatica. Voglio dire: c’è un’immensa pubblicistica che analizza tutti i motivi e tutte le ragioni, ma al dunque e anche senza essere troppo smaliziati, appare vistoso l’interesse per il petrolio. Del resto, per cosa dovremmo batterci? Perché il popolo iracheno sta sotto una feroce dittatura? Perché Saddam Hussein ha metodi sanguinari? Siamo onesti. L’ONU ha fatto spallucce finché la guerra non è andata a punzecchiare le risorse petrolifere destinate all’opulenza occidentale. E qui arrivano i toni esaltati e i titoli eroici delle missioni militari. Desert Storm. Tempesta di sabbia. Tempesta di sabbia? Mille bombe al giorno sui civili di Baghdad è una tempesta di sabbia? Questa operazione militare, al di là dei titoli cinematografici che le sono stati conferiti, è stata la più imponente dopo il 1945. Si combatteva a terra e in cielo, si colpivano edifici, strutture, ospedali, container, capannoni, fabbriche, città intere. Tutto, tutto, tutto quel che era iracheno era distrutto fatta eccezione per i pozzi petroliferi. Mi sono stancata di dirlo, e prometto che non farò altre considerazioni etiche. Ma sulla salvaguardia dei pozzi, avevate qualche dubbio?

La fine della guerra e la resa di Saddam

Il 22 febbraio del 1991 l’ONU lancia un terzo e finale ultimatum per il ritiro definitivo delle truppe di Saddam dal Kuwait. Quattro giorni dopo, forse perché la Coalizione era comunque entrata nel piccolo staterello petrolifero o forse perché Hussein aveva avuto un momento di lucidità, il dittatore si ritira. O meglio, batte la ritirata di gran lena, rischia di farsi ammazzare dai suoi stessi fedelissimi, e per poco le forze statunitensi non lo individuano. Eppure lo avrebbero eliminato molto volentieri. Sopravvissuto alla vendetta occidentale, il Rais ordina di incendiare tutti i pozzi petroliferi sulla strada del rientro. È “l’autostrada della morte”, un cumulo di fumo nero, piccole esplosioni continue e un ultimo atto di belligeranza che manda su tutte le furie gli occidentali, sensibilizzati dalla moria di animali, (cammelli, uccelli e pesci) resa molto bene dalle immagini del fotografo del National Geographic Steve McCurry. Abbiamo vinto e comunque bruci il nostro petrolio? Iracheni, militari e civili, vengono bombardati per un’altra settimana, dentro e fuori Baghdad. Perché così impara, il vostro Rais, a boicottare il nostro petrolio.

In meno di un mese è tutto finito. Il 28 Febbraio Bush dichiara la liberazione del Kuwait e la fine della guerra; il 3 Marzo Saddam firma il cessate il fuoco, accetta il disarmo e tutte le sanzioni economiche volute dalle Nazioni Unite.

L’Iraq dopo la Guerra del Golfo

È quello che è. Sono le immagini che vedete dal World Contest Photo del 2021, i palazzi diroccati pieni di buchi delle mitragliatrici. E poi ancora, i filmati dei militari statunitensi che ridacchiano mentre i bambini a piedi nudi implorano per una bottiglietta d’acqua. E le donne vestite di nero, che camminano con lo sguardo basso mentre agli angoli delle vie gli uomini, tutti smagriti, provano a vendere qualche capra. Dopo la fine della guerra gli americani si sono insediati nel Paese con le proprie basi militari, mentre l’Iraq è sceso in una miseria da cui non si sarebbe mai più sollevato. L’attutalità irachena mette l’accento su un Paese che abbiamo attaccato e abbandonato, e su una guerra che, trent’anni dopo, fa ancora pagare lo scotto ai suoi civili. I bambini che oggi nascono nella miseria irachena non sapranno quali sono state le cause della loro estrema povertà, analfabetizzazione, esclusione.

A te, Millennial, spero di aver fatto comprendere meglio cosa e perché è successo in Iraq nel 1991. Non è finita così. La seconda Guerra del Golfo era del resto dietro l’angolo, e sarebbe scoppiata nel 2003: con tutte le sue farlocche “pistole fumanti”. Ma questa è un’altra storia, e la racconto in questo articolo.

Perché ci riguarda?

Nel caso a qualcuno venisse in mente di dire: e a noi…? Ce ne frega, ce ne frega. Ci riguarda. È la prima vera guerra in cui l’Italia viene coinvolta in Medio Oriente. Che viene fatta con e nonostante il nostro appoggio. Possiamo anche voltarci da un’altra parte, e continuare a pensare: ma tanto in Iraq è sempre stato così. Come però cantava De André: «Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti».