La seconda guerra del Golfo pt.3

You are currently viewing La seconda guerra del Golfo pt.3

L’Iraq di Saddam, il sequel

(Qui c’è la parte 1 e la parte 2)

Orride vicende dietro e dopo la guerra, da WikiLeaks

Non sarà mica la prima volta che ne sentite parlare. Circolavano pure su Facebook, tanti anni fa, alcuni footage di soldati che facevano cose terribili agli iracheni. Tutto è iniziato con una documentazione dettagliata pubblicata su WikiLeaks nell’Ottobre del 2010. Questo gigantesco report racconta il conflitto, riportando alla luce tante occasioni e vicende passate letteralmente in sordina. Centinaia di rapporti di torture, abusi, stupri e omicidi da parte dei soldati al fronte e della polizia irachena (quella post Saddam, per intenderci). Non proprio una bella immagine per una guerra fatta, quantomeno di fronte alle telecamere, per portare la democrazia in una terra che fino ad allora aveva conosciuto solo la dittatura. Inutile girarci troppo attorno, quello che accadde in Iraq nei primi dieci anni del nuovo millennio, è stato orrendo.

Io i documenti di WikiLeaks ho provato a leggerli, ma le informazioni sono così tante e così brutali che a tratti ho sperato di aver sbagliato link e di essere finita in un film di Quentin Tarantino. Le vittime del conflitto, almeno quelle certe, sono più di 100 mila, di cui oltre 60 mila solo civili. In più occasioni, le morti sono state causate da disordini e momenti di panico dovuti ad attacchi con armi ed esplosivi, autobombe e azioni terroristiche. La presenza dei soldati americani ha gettato l’Iraq per lunghi anni in un caos generale, a volte nato da incomprensioni puramente culturali. Per esempio, i posti di blocco. Che si fa quando c’è un posto di blocco e un poliziotto alza la mano in segno di stop? Ci si ferma. Ecco, in Iraq questo gesto non esiste. I civili ci hanno messo diversi anni e centinaia di morti per capire che una mano alzata con palmo aperto significa STOP. Ai checkpoint morivano i passeggeri delle automobili che, ignari, proseguivano la corsa finendo immediatamente sotto il fuoco dei soldati. Informazioni errate e incomprensioni fra due culture così distanti ma racchiuse in un territorio disastrato hanno causato danni su danni.

Ci sono poi migliaia di documenti svelati che mettono nero su bianco i casi di tortura da parte delle autorità irachene sui propri civili, e dei soldati statunitensi sulle autorità irachene sospettate di essere informatori o spie di Al-Qāʿida. I referti medici parlano di prigionieri incatenati, frustati in mezzo alla strada, bendati e appesi per le caviglie, percossi con pugni, calci, scariche elettriche. Potrei continuare, ma adotterò la stessa policy che le autorità statunitensi e britanniche hanno adottato nei confronti di questi episodi: non è necessaria alcuna indagine ulteriore.

Conclusioni della guerra in Iraq

Parlavo prima di questo immaginario comune, questa patina di vita povera e misera che ci balena in testa quando pensiamo all’Iraq. Noi siamo qui, seduti in comode poltrone riscaldate, loro sono lì, seduti per terra. I più fortunati hanno un paio di scarpe Nike che noi indossavamo vent’anni fa, gli altri hanno dei sandali logori o i piedi nudi. Guardano con occhi ignoranti un camion statunitense sollevare polvere lungo una via stretta fra palazzi diroccati mentre in cinque si dividono un po’ di latte munto da una capra vecchia e stanca. È questo l’Iraq che ricordiamo. È questo l’Iraq oggi. L’impiccagione di Saddam Hussein nel 2006 e le elezioni irachene non hanno portato a una democrazia filo-occidentale né alla nascita di un qualunque governo in grado di gestire i conflitti interni. Semmai, il nuovo Iraq appare ancora più sull’orlo della disgregazione e la popolazione tutta quanta vive in uno stato di penuria e di rara tristezza.

D’altronde è raro, per non dire mai accaduto, che un popolo incrociasse le armi e gli interessi delle potenze europee e americane uscendone arricchito. Ma questa è solo una considerazione finale, di filosofia politica spicciola. Di tutta questa storia, e dell’epilogo di una guerra forse necessaria, forse desiderata, vi lascio una frase di Daniele Luttazzi: «L’America un giorno decise di trascinare il mondo nel baratro; ha invaso l’Iraq dicendo, come ricorderete, che avevano armi di distruzioni di massa. Una frase retorica che significava “l’Iraq è una nazione indifesa che galleggia sul petrolio”».

Perché ci riguarda?

Nel caso a qualcuno venisse in mente di dire: e a noi…? Ce ne frega, ce ne frega. Ci riguarda. È una storia che abbiamo vissuto anche noi, ma che viene fatta con e nonostante il nostro appoggio. Possiamo anche voltarci da un’altra parte, e continuare a pensare: ma tanto in Iraq è sempre stato così. Come però cantava De André: «Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti».