La strage di Piazza Tienanmen Pt.1

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La vicenda che la Cina vuole dimenticare

La riconoscete questa foto? Ma certo che sì. Ci è passata sotto il naso molte volte sui social e nei documentari. Accompagnato da qualche trafiletto sbrigativo, questo scatto ha fatto il giro del mondo. A riprendere questo momento topico è stato il fotografo Jeff Widener, e si tratta oggi della foto-simbolo delle proteste contro i regimi di tutto il mondo, e della lotta per i diritti umani e la democrazia. In piedi, nel mezzo di una strada deserta, un uomo solo e disarmato sta di fronte a quattro enormi cingolati. Questo memorabile scatto incornicia un momento cruciale, in un Paese conosciutissimo, in un momento storico ben preciso.

Non voglio spiegarvi soltanto cosa accadde in Cina nel 1989, ma anche perché parlo di “strage”, e perché i fattacci di 33 anni fa sono oggi un’importante lezione sulla libertà di pensiero, opinione e parola. Cercherò di essere breve, e di raccontare il tutto in modo imparziale, ma vedrete che l’imparzialità in questa storia trova ben poco appiglio: è una vicenda cruenta, inserita in un contesto confuso e arrabbiato, e il modo in cui si sono svolte le cose ha generato tanta frustrazione quanta voglia di rivalsa nei giovani cinesi e più in generale nei giovani studenti di tutto il mondo.

Ci siete? Io parto

È il 1989 e Hu Yaobang, il Segretario del Partito Comunista Cinese (da qui in poi lo chiamerò PCC), muore d’infarto. No, aspettate, la storia incomincia molto prima, durante la reggenza di Yaobang. Ma tutto il casino scoppia alla sua morte, quindi mi trovo un po’ costretta a riassumere velocemente la sua figura; Hu Yaobang era il braccio destro di Deng Xiaoping che, a sua volta, dal 1976, era leader de facto della nazione più popolosa al mondo (era succeduto, non senza grossi problemi interni, al Presidente Mao). Sta di fatto che questo Yaobang è un riformista, un politico che prova a riconciliare il Partito con le vittime della Rivoluzione Culturale, riabilitandole (una storia che andrà raccontata un’altra volta). Altra azione importante di Yaobang: cerca una via per determinare l’autonomia del Tibet, regione famosa in Occidente per il Dalai Lama ma tenuta sotto ferreo controllo dal PCC (anche questa è una storia che andrà raccontata un’altra volta).

Nel 1987 però, il potere di Yaobang crolla. Perché, direte voi? Perché Deng Xiaoping lo costringe a rinunciare alla sua carica, accusandolo di aver compiuto errori e inesattezze varie. E lui rinuncia, mentre Deng dirotta la sua carica e altre posizioni politiche verso alcuni suoi fedelissimi, nonché familiari. Se non si fosse già capito, il nepotismo avrà un ruolo chiave in questa storia. Perché è proprio da questi favoritismi palesi all’interno del PCC che si accendono le prime rivolte. Come dicevo prima, il 15 Aprile 1989, Hu Yaobang muore d’infarto. Le proteste iniziano, ma si tratta perlopiù di manifestazioni pacifiche: mezzo milione di studenti, intellettuali e operai iniziano a marciare fino alla piazza principale di Pechino per chiedere maggiori libertà politiche, libertà di stampa, riforme socio-economiche e, soprattutto, la fine della corruzione e del nepotismo all’interno del PCC.

Non dimentichiamoci dell’aria rivoluzionaria che si respirava in tutto il mondo: il 1989 è l’anno in cui i fermenti nei Paesi dell’Est portano alla caduta del muro di Berlino. Si espande dall’Europa il desiderio di un mondo più onesto e i giovani di tutti i paesi occidentali minacciano i rappresentanti politici con quotidiane manifestazioni e disordini. Ad ogni modo, il governo cinese non fa un plissé, si gira dall’altra parte e pubblica un editoriale sul “Quotidiano del popolo” che accusa i manifestanti di essere manovrati e ingrati, nonché di fomentare un’agitazione pubblica della quale non c’è alcun bisogno. E gli studenti si arrabbiano moltissimo. Si ritrovano nelle strade e nelle piazze. Ignorano il pericolo delle repressioni da parte delle autorità e, semmai, pretendono che le dichiarazioni del Quotidiano del Popolo vengano ritrattate. Niente da fare. Il PCC non si schioda, anzi serra i ranghi delle forze dell’ordine e immette nelle strade un poliziotto per ogni manifestante.

(Qui c’è la parte 2 e la parte 3)