Per me, si chiamerà sempre “Birmania” Pt.1

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La situazione in Birmania spiegata ai millennial, da una millennial

Per spiegare cosa è successo in Birmania bisogna fare un breve excursus sul passato di questo paese. Dopo quasi cento anni di colonizzazione britannica (1824-1948), la Birmania si è resa indipendente prima dall’India anglosassone e poi dall’Inghilterra. Da allora, la storia governativa si è susseguita a colpi di stato, repressioni, e schieramenti militari volti a stabilire ordine all’interno del paese. Non bisogna essere politologi per capire che questa instabilità ha accresciuto le disuguaglianze sociali. Solo nel 1990, per la prima volta, si sono tenute le elezioni libere: la vittoria è andata al partito NLD (Lega Nazionale per la Democrazia), capeggiato da Aung San Suu Kyi. Il partito si era subito scontrato con lo SLORC (Consiglio di restaurazione della legge e dell’ordine di stato). Spalleggiato dall’esercito, lo SLORC si è rifiutato di cedere il potere e, arrestando Suu Kyi, ha preso il potere. Successivamente il nome Birmania è stato cambiato in Myanmar.

Concettualmente parlando, utilizzare “Myanmar” significa in qualche modo legittimare la scelta dell’oppressione militare, mentre invece “Birmania” è il nome che, filosoficamente, identifica il desiderio di libertà di questo popolo. Ad ogni modo, comincia un periodo molto difficile per Aung San Suu Kyi. Viene arrestata e rimessa in libertà periodicamente dal 1995 al 2010. Nel 2015 le elezioni parlamentari generali, giudicate le più democratiche da quelle famose del ’90, hanno visto la vittoria definitiva di  Suu Kyi e del suo partito. Queste elezioni mettono un freno alle forze militari e donano anni di apparente calma all’interno del paese.

Il colpo di stato in Birmania: siamo nel 2021

A Febbraio 2021 l’esercito militare prende il potere attraverso un colpo di stato. I politici del partito di maggioranza, ancora la NLD, vengono arrestati e Suu Kyi, che era di fatto il capo del governo, si lascia condurre in una località ignota. Nel frattempo l’esercito ha rapidamente chiuso le comunicazioni all’interno del paese. Le linee telefoniche sono spente nella capitale Naypytaw e nella città cardine Yangon. La tv non trasmette, agli organi di stampa viene revocata la licenza. Il blocco dei social network è solo il principio dell’anno tragico che si è riversato sulla popolazione. Panico, paura e terrore dilagano fra le città.

(Qui c’è la parte 2 e la parte 3)