Rwanda: come si racconta una storia maledetta? Pt.1

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Rwanda. Il genocidio nel cuore dell’Africa nera. Tutto ciò che è accaduto prima e dopo la mattanza spiegato ai Millennial che non hanno ancora visto “Hotel Rwanda”. O che l’hanno visto, ma non l’hanno capito bene.

Mercoledì 17 Febbraio 2021, mentre il mondo misurava il proprio stato di salute a botta di tamponi, è iniziato in Rwanda il processo “per terrorismo” contro Paul Rusesabagina.

Paul chi?, verrebbe da dire

È l’uomo che ha salvato circa un migliaio di persone durante il genocidio dei Tutsi nel 1994, nascondendole nell’hotel di cui era il direttore, a Kigali, la capitale del Paese. Lui, proprio lui, è anche la figura che ha ispirato il film Hotel Rwanda (2004) e ha, senza dubbio, la skill tipico dell’eroe nell’immaginario comune. Quantomeno per l’Occidente, Rusesabagina rappresenta un salvatore degli indifesi e una persona il cui spirito compassionevole rimarrà impresso nei secoli dei secoli.

Per il suo Paese, invece, in particolar modo per il presidente Paul Kagame, è un terrorista, omicida e piromane. Di carattere indomito e forte oppositore del regime autoritario di Kagame, Rusesabagina ha ricevuto alla fine del processo una condanna a 25 anni, fortemente criticata dal Parlamento Europeo e dal Congresso degli Stati Uniti (che infatti hanno chiesto il rilascio immediato di Paul, ma senza successo). D’altronde, c’è poco feeling tra le democrazie occidentali e un regime paramilitare di malcelata inclinazione dittatoriale. Ad oggi il condannato è rinchiuso nella prigione della capitale, in condizioni miserevoli e senza accesso a medicinali che ne salvaguardano la salute (soffre di ipertensione). La sua storia incomincia in realtà molto prima del 2021. Del resto, anche la storia del Rwanda e del genocidio che ha orrendamente insanguinato quel lembo di Africa Subsahariana comincia a sua volta molto prima degli anni ’90. Partiamo dal principio.

Cos’è il Rwanda, e chi sono le popolazioni che lo abitano

Le voci che raccontano l’Africa e gli occhi che la scrutano – come un enorme e inquietante continente dalla storia intricata – generano spesso immagini semplificate e allo stesso tempo rappresentazioni troppo durevoli: cliché, si direbbe. Comunque sia, geograficamente parlando, nel quadro centrale c’è il piccolo Rwanda, uno staterello racchiuso come una noce tra Congo, Tanzania, Burundi e Uganda. Quando diciamo piccolo ci riferiamo esclusivamente alle dimensioni fisiche ma, in quanto a rilevanza geo-politica, il Rwanda è tutt’altro che piccolo: l’importanza di Kigali è addirittura sproporzionata se paragonata ai minuscoli confini su cui padroneggia, in particolar modo da quando ha invaso un’ampia fetta di Congo (1996-97), uno stato novanta volte più esteso. Insieme a Etiopia e Guinea Equatoriale, il Rwanda guida una lista di paesi subsahariani cresciuti velocemente durante gli ultimi vent’anni e ha avuto voce in capitolo nel dettare l’agenda di riforma dell’intera Unione Africana. I suoi soldati sono ancora in Mozambico – di nuovo, un Paese che per geografia e confini è decine di volte più grande – per rispondere ai jihadisti che il governo locale da solo non riesce a combattere.

Detto così, il Rwanda sembra un Paese fichissimo. Minuscolo, ma fichissimo. Non è sempre stato così. Certamente, era una realtà diversa durante il genocidio. Ma anche oggi, dopo le impetuose trasformazioni che ci sono state, parlare di Rwanda significa richiamare alla memoria le stragi in cui nel 1994 morirono più 800 mila persone, in prevalenza Tutsi. Un gigantesco, mortale regolamento di conti interetnico condotto dagli Hutu ma in qualche misura accompagnato da una sorta di consenso strisciante da parte della Francia e di altre forze (che vedremo poi). Per spiegare chi erano i Tutsi e Hutu, e soprattutto che c’entra la Francia in questa valle di morte, dobbiamo però fare un vertiginoso salto nella storia e nella geografia.

Da colonia belga a Stato indipendente

Hutu, Twa e Tutsi sono tre etnie del Rwanda e del Burundi riconducibili alla ragione centro-orientale dei Grandi Laghi. Dei Tutsi cantava fieramente Edoardo Vianello nel 1963, soprannominandoli i Watussi. Due cose bisogna dire a proposito: una è che i Tutsi sono effettivamente alti di statura (anche più degli olandesi), e l’altra è che l’altezza è una delle poche differenze che li rende riconoscibili rispetto agli Hutu. Tutt’oggi la distinzione delle due etnie è infatti oggetto di un considerevole ma confuso dibattito, che stenta a trovare conclusione. Molti studiosi dicono che non c’è davvero differenza fra i due gruppi: nemmeno in cultura, tradizioni, lingua e religione differiscono. Vivono l’uno accanto all’altro. Sono più le somiglianze che li accomunano delle differenze che li dividono e questo fa pensare che, a conti fatti, Tutsi sia un’espressione di classe o di casta. Insomma è una scala sociale, non etnica. E qui, siccome si parla di Novecento e di razze, il riferimento occidentale è davvero scontato.

Furono i colonialisti belgi a creare le nozioni di due diverse razze. Nel 1916 i Belgi ottengono la colonia dalla Germania, che stava sul filo del rasoio in una guerra che avrebbe da lì a poco perso (IWW). I Belgi, permeati di un sentimentalismo occidentale per tutti quei filoni della razza e della gerarchia fra individui che avrebbe ribaltato gli equilibri europei nel decennio successivo, pensarono che la colonia appena acquisita sarebbe stata più ordinata se organizzata gerarchicamente attraverso il triste concetto razziale. Consideravano gli Hutu come bambini poveri e bisognosi, e vedevano invece nei Tutsi dei forti, alti e valorosi individui. Cadevano a fagiolo come “razza superiore”, altro concetto che da lì in capo a dieci anni avrebbe davvero spopolato nell’immaginario comune europeo.

Ad ogni modo, la situazione rimane tale fino agli anni ’60. Inizia la decolonizzazione, i Belgi se ne vanno. Si ritirano e, nella gran fretta di abbandonare un Paese fino ad allora usato come colonia, accade un fatto atroce. Nei giorni fra il 24 e il 28 Dicembre 1963, in Rwanda, decine di migliaia di Tutsi vengono sterminati dagli Hutu, che diventano il gruppo più potente. Nel giro di una settimana gli Hutu compiono un massacro senza precedenti nella storia di questo Paese e, in scala più ridotta, fanno una prova generale del genocidio che sarebbe accaduto trent’anni più tardi. 

(Qui c’è la parte 2 e la parte 3)